Dalla riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, secondo cui tutte le regioni a statuto ordinario possono chiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie, l’idea che accarezza qualche partito in forza al Governo Meloni sulla cosiddetta “autonomia differenziata” è ripartita. Si continua a giocare con il fuoco sui diritti costituzionali.
La Lega, sul tema tanto caro alla Padania, ci ha provato due volte a rendere l’Italia uno spezzatino: prima con una riforma costituzionale nel 2005 e poi con una legge delega nel 2009, fallendo miseramente in entrambi i casi.
Oggi il partito della Padania, con un disegno di legge del Ministro Roberto Calderoli, ha di nuovo rimesso il piede sull’acceleratore di questo antico sogno del “federalismo”.
l’Italia, in questo delicatissimo passaggio epocale, va sostenuta unendo e non dividendo il Nord dal Sud. Nessuno la mandi a raccontare che sia la Costituzione a volerlo: le materie richiamate nel comma terzo dell’articolo 116 si possono attribuire forme e condizioni “particolari” di autonomia su richiesta e, queste forme e condizioni debbono essere, appunto, “particolari”.
Ora, la parte più delicata del ddl attiene ai LEP (livelli essenziali di prestazione) che devono essere garantiti per Costituzione su tutto il territorio nazionale e di cui si attende la definizione da oltre 20 anni.
I Lep attengono i diritti civili e sociali dei cittadini e delle cittadine e devono essere stabiliti prima delle richieste di autonomia differenziata, tanto da stabilire la quantità di risorse da erogare a ciascuna regione richiedente.
Il ddl, però, dice che se entro un anno dall’entrata in vigore dell’autonomia differenziata i Lep non dovessero essere definiti, allora, tali risorse alle regioni verrebbero erogati sulla base della spesa storica regionale.
Fare questo significherebbe affossare per sempre il Mezzogiorno del Paese dato che le risorse verrebbero erogate dallo Stato alle regioni non più in base ai Lep, che garantiscono i diritti costituzionali, ma in base al principio di cassa “chi ha speso di più deve avere di più”.
Va da sé che le regioni del Nord che storicamente erogano più servizi, essendo dotate di forza economica maggiore, continueranno a farlo ancora di più a discapito di quelle del Sud le quali soffriranno ancora di più. Il risultato? Un vero e proprio razzismo territoriale, i diritti non sono regionalizzabili.
Dire di sì a tutto questo significherebbe avviare un procedimento di regresso irreversibile del Mezzogiorno. La più grande incongruenza del nostro Paese, si legge nel rapporto Eurispes, è che il Sud vive in condizioni sociali, economiche e civili così dissimili da farlo sembrare quasi una nazione a parte.
Ci appelliamo ancora una volta al Premier affinché i diritti, siano essi civili che sociali, siano realmente del cittadino e non del territorio, assicurandoli prescindendo dai confini territoriali dei Governi locali (art. 120 della Costituzione italiana).
Si fermi il progetto di un’autonomia che più che differenziata sarebbe disuguagliante e si metta fine a questa insensata trattativa tra Governatori di regioni e, soprattutto, si metta al riparo il Paese da quella che rischia di materializzarsi come la perfetta maledizione del Sud.