In queste ore è in atto la protesta dei lavoratori attorno alla fabbrica per sollecitare il governo a prendere provvedimenti urgenti sulla questione ex-Ilva.
L’obiettivo dichiarato è di estromettere quanto prima la multinazionale ArcelorMittal, azionista di maggioranza di Acciaierie sotto agli slogan: “Via da Taranto! Ministro Urso datti da fare! Siamo venuti sin qua per vedere cacciare Mittal!”, “L’amministratore delegato non ha fatto altro che spegnere questo stabilimento. Migliaia di persone sono in cassa integrazione e la multinazionale continua a non pagare!”.
Alla manifestazione, promossa da Fim, Fiom, Uilm e Usb, hanno aderito l’Ugl Metalmeccanici e le associazioni Aigi, Casartigiani e Confapi Industria partecipano anche le ditte dell’indotto, in credito con l’azienda per 130 milioni di euro.
Esprimendo vicinanza ai lavoratori e alle loro famiglie li mettiamo, ancora una volta, in guardia dalle soluzioni propostegli. A nostro avviso l’estromissione di Mittal e una nuova partnership dello Stato con un socio privato passando dal commissariamento della fabbrica, non lo è affatto e per diverse ragioni:
prima fra tutte, che Mittal non lascerà campo libero a un proprio concorrente (la conferma arriva dalla sua recente proposta di accordo col Governo): il suo obiettivo è mantenere le mani su AdI per portarla a consunzione e acquisire quote di mercato in altri siti gestiti.
In secondo luogo, se anche lo Stato dovesse riuscire nel suo intento, dovrebbe accollarsi tutti gli enormi debiti della fabbrica (scaricandoli su tutti noi) per agevolare l’ingresso di un nuovo socio.
Terza, qualsiasi nuova compagine non potrà che mettere mano a un piano industriale che lascerà a casa quasi la metà dei lavoratori senza risolvere assolutamente i problemi ambientali del territorio. I propositi di ‘ambientalizzazione’, infatti, consisterebbero nell’installazione di due forni elettrici che andrebbero ad aggiungersi agli altiforni e non a sostituirli (anche se lo fossero sarebbero totalmente insufficienti).
Quarta, per arrivare al punto di profitto la fabbrica dovrebbe produrre una quantità di acciaio che non avrebbe collocazione nel mercato e che continuerebbe a ucciderci.
Per tutto questo sollecitiamo, ancora una volta, sia i lavoratori stessi che i sindacati che li rappresentano, a riflettere su un programma di più ampio respiro, in grado di unire il fronte della città nella richiesta di bonifiche e riconversione che salvaguardino i redditi e riconvertano la città. Tutto questo si potrebbe fare con meno soldi di quanti se ne stanno spendendo per salvare una fabbrica che, anche cambiando gestore, non avrebbe alcuna prospettiva.