Lo stabilimento ex Ilva va chiuso attraverso un cronoprogramma in piena sicurezza ma non per questo rimandabile, in considerazione dell’elevato rischio sanitario e dei gravi incidenti.
Chi da alcuni anni perpetua la continuità produttiva dell’impianto ex-ILVA ha scientemente introdotto il tema della chiusura dell’area a caldo per creare un’ulteriore frattura fra i cittadini. Il duplice esito di questa azione consegna al mondo esterno la fotografia di una città divisa, debole e soprattutto ha sortito l’effetto di creare lo spazio in cui manovrare gli stessi cittadini.
I decisori politici continuano a imporre da decenni una scelta tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro.
La richiesta di chiudere la sola area a caldo non fa altro che offrire la possibilità di perpetuare lo stesso ricatto!
È ingannevole ignorare la vastità dell’intera area a freddo, il numero di impianti fermi, la pericolosità e il grado di inquinamento prodotti da questa “sola” area.
Gli inquinanti emessi nella lavorazione a freddo incidono gravemente sulla salute: gli sversamenti di oli, emulsionanti e vernici inquinano la falda, finendo ovviamente per contaminare tutta la catena alimentare. Le sostanze volatili dei treni nastri si disperdono nell’aria e sono causa di patologie respiratorie, cardiovascolari e tumorali. Non è d’altro canto trascurabile che l’area a freddo si alimenterebbe con un combustibile che al momento non può che essere fossile, cosi come sta avvenendo a Trieste, dove è infatti prevista la costruzione di una centrale a gas che alimenterà i forni elettrici.
Il famoso accordo di programma, tanto invocato dall’amministrazione tarantina e appoggiato da USB e buona parte del mondo politico (dal PD al M5S) va in una direzione ambigua: si passa dal sostenere una produzione alimentata da forni elettrici alla contraddizione di non utilizzare più fonti fossili.
Questo comporta un ulteriore errore di informazione, creando l’illusione nella popolazione di un abbattimento delle fonti inquinanti e di azzeramento dei gas climalteranti.
Investire anche solo temporaneamente nel gas, in attesa di un presunto idrogeno, oltre che una spesa a fondo perduto, comporta un ulteriore danno sanitario e non è coerente con gli impegni nei confronti dell’emergenza climatica!
In questi giorni assistiamo a una propaganda di difesa della città e per contro ad una leale collaborazione con il presidente di Acciaierie d’Italia che non ha MAI dichiarato di voler chiudere l’area a caldo. Esprimersi a favore della transizione ecologica, firmata dal ministro Cingolani, e avallarla politicamente non è compatibile nello specifico con la difesa della Salute dei Tarantini.
Trovare una convergenza su questo obiettivo – chiusura dell’area a caldo – significa arrendersi a chi continua a voler legare la città ad un modello di sviluppo che non ha rispetto né per le persone né per l’ambiente, né soprattutto per i bambini di questa città. Questo momento rappresenta la possibilità di dare finalmente a Taranto un’opportunità per cambiare paradigma economico. Il diritto alla salute non può continuare ad essere considerato un bene negoziabile, né rispetto al diritto al lavoro e men che meno rispetto a vantaggi e interessi politici.
ISDE Taranto
Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti