E’ stata un’esperienza ricca di spunti e sollecitazioni per gli appassionati di arte fotografica che, hanno partecipato all’evento – laboratorio sul concept “Il ritratto, il suo sguardo “, tenuto da Domenico Semeraro con l’organizzazione di Programma Cultura, il 30 novembre e 1 dicembre scorso, nella prestigiosa location di Palazzo de’ Notaristefani, di Massafra. L’amministrazione comunale della cittadina ha accolto con sensibilità l’iniziativa dell’associazione Programma Cultura, patrocinando l’evento fotografico, ponendosi così, quale centro di promozione artistica e culturale di qualità e alto livello. Gli intervenuti, fotografi amatoriali e cultori di esperienze artistiche, hanno preso parte ad una due giorni di arte fotografica, in cui teoria e pratica si sono incontrate, dando forma alla prima tappa di un percorso di formazione sul tema del ritratto. Un itinerario di più incontri, che si proporrà di costruire artigianalmente l’opera artistica dell’autore, attraverso il suo sguardo.
Domenico Semeraro, ideatore del concept e tutor dell’esperienza laboratoriale, ha invitato i partecipanti a scoprire l’approccio psicologico ed intimistico al ritratto. Nella prima giornata, dopo i saluti di Fabrizio Quarto, sindaco di Massafra, sono intervenuti al tavolo di studio, relatori di diversi settori: Patrizia De Luca, docente e storico dell’arte; Antonio Dellisanti, editore e giornalista; Alessandra Basile, esperta in beni culturali e comunicazione dell’immagine; Domenico Semeraro, autore del concept fotografico, ricercatore e studioso di fotografia; Erminio Biandolino, pittore e regista, esperto in Arte-Terapia e tecniche di sviluppo della creatività.
Nella giornata successiva, si è svolto il laboratorio tecnico – didattico di fotografia, sotto la direzione artistica del suo ideatore, Domenico Semeraro, che ha seguito i fotografi nelle impostazioni di uno shooting con quattro modelli – tre ragazze e un ragazzo – selezionati per tratti somatici ed espressivi differenti, per poter offrire molteplicità di esperienza di immagine artistica. La fotografia esce da un’era dominata dal reportage, dalla moda e dalla pubblicità. Ora le immagini sono dominio di tutti e non solo del mondo della comunicazione, che detta le sue regole. I nostri album di famiglia sono Instagram, Facebook, Snapchat e sono condivisi, senza troppe sovrastrutture, dalla maggior parte delle persone. Tutto questo avviene in un momento storico, dove il mettersi in gioco ed esporre gli aspetti più fragili della propria personalità è sicuramente all’ordine del giorno. La narrazione di percorsi personali dei singoli individui, attraverso i social media o il tanto citato “storytelling”, per quello che riguarda le aziende e la comunicazione più in generale, riflettono un bisogno diffuso di individualizzazione del linguaggio, per la ricerca di una forma di comunicazione che parla al singolo in modo più diretto.
Spesso è proprio il fruitore, che cerca la rilettura delle proprie fragilità, attraverso la rappresentazione di quelle degli altri; questa circostanza, le rende più profonde, poiché la mente della persona, si esprime in questa assoluta libertà spaziale e temporale. Si strappa un’immagine al mondo, la si modella attraverso la propria interiorità e poi la si restituisce, sperando di “toccare” gli altri. Le fotografie che scattiamo, insomma, parlano di noi, delle nostre emozioni, delle nostre esperienze, trasmettono, talvolta, inconsciamente messaggi profondi sulla nostra esistenza e sui nostri valori. Anche un “selfie”, o più in generale un autoritratto, non è da considerarsi un semplice modo di soddisfare necessità esibizionistiche, ma nasconde percorsi profondi di conoscenza e di ascolto dei propri bisogni comunicativi e, certamente, esprime una tendenza crescente a volgere il nostro sguardo all’interno, in quel luogo immaginario tra la nostra pancia e i nostri pensieri. Per un artista l’autoritratto è uno strumento per osservare se stesso in modo diverso, per entrare in contatto con emozioni differenti, è un’esperienza.
Lo sguardo da un punto di vista esterno e in un certo senso oggettivo, aiuta a prendere coscienza di se stessi. Questo vale per tutti, ma per il fotografo è un percorso di approfondimento molto interessante, perché ha consapevolezza del sé, come atto cosciente. In pratica, il fotografo diviene oggetto di curiosità e di domande, sostanzialmente un gioco d’inversione di ruoli, il fotografato scruta chi lo ritrae ed è lui stesso a porsi degli interrogativi, a interiorizzare l’atto fotografico. Tuttavia i volti raccontano anche molto altro. Nella nostra esistenza, pur sepolta da una massa incombente di immagini soprattutto autoprodotte e autoconsumate, è ancora possibile fare l’esperienza di una fotografia vera, cioè, essere colti, osservando un’immagine nuova o antica, dalle singolarità delle cose, di ogni minimo oggetto e della loro bellezza? La fotografia fissa, immobilizza ogni volta ciò che c’è, lo sottrae al tempo, lo rivela, senza bisogno di ricorrere al linguaggio, all’emergenza della materia. L’arte della fotografia è caratterizzata anche da una dimensione e da un forte potere catartico: sia che la si produca, sia che la si osservi. Permette al fotografo e al fruitore della fotografia di elaborare e controllare le emozioni interne. In questa duplice accezione, sospesa nella dicotomia soggettivo-oggettivo, la fotografia entra nelle nostre vite, permettendoci di narrarci e di osservarci nel fluire del tempo.